La Convenzione sulla diversità biologica e il Protocollo di Nagoya

La Convenzione internazionale del 1992 sulla diversità biologica chiede la conservazione e l’utilizzo sostenibile della biodiversità. Disciplina inoltre l’accesso alle risorse e la ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione.

Dato che nella Convenzione i due punti «accesso» e «ripartizione dei vantaggi» erano disciplinati soltanto in forma molto generica, a titolo complementare sono stati adottati il Trattato FAO sulle risorse fitogenetiche nel 2001 e il Protocollo di Nagoya nel 2010.

La Convenzione sulla diversità biologica (CDB) istituisce uno stretto legame tra conservazione e utilizzo sostenibile della biodiversità da un lato e giustizia ed equità dall’altro: soltanto traendo un beneficio giusto ed equo dall’utilizzo delle risorse genetiche anche i Paesi in sviluppo ricchi di biodiversità possono reperire i mezzi finanziari e sviluppare la volontà politica per conservare e utilizzare in modo sostenibile la diversità presente sul loro territorio.

La ripartizione giusta ed equa dei benefici
Perché qualcuno dovrebbe proteggere un bene se soltanto altri ne traggono profitto? La comunità internazionale si è vista confrontata con questa domanda in occasione del Vertice per la Terra tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, quando si è trattato di adottare una convenzione volta alla salvaguardia della biodiversità. Il Nord voleva sancire la protezione, il Sud all’inizio non era ancora disposto a farlo.

La svolta nelle trattative è giunta quando agli Stati ricchi di biodiversità – principalmente Paesi in sviluppo – è stato assicurato che i vantaggi derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche, che fino a quel momento andavano soprattutto ai Paesi industrializzati, sarebbero stati equamente divisi con i Paesi d’origine. L’articolo 1 della Convenzione riassume lo storico compromesso:
«Gli obiettivi della presente Convenzione (…) sono la conservazione della diversità biologica, l'uso durevole dei suoi componenti e la ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dall'utilizzazione delle risorse genetiche (…).»

Agli Stati è stata inoltre accordata la sovranità sulle proprie risorse genetiche, un bel cambio di paradigma considerato che alla Conferenza dell’ONU sull’ambiente tenutasi nel 1972 a Stoccolma era stato convenuto che le risorse genetiche costituiscono un patrimonio comune dell’umanità.

Nella Convenzione sono state definite le condizioni per l’accesso e la ripartizione dei vantaggi. Il principio è semplice:

  • ai Paesi d’origine ed eventualmente alla popolazione indigena deve essere chiesto il permesso di accedere alle risorse;
  • se tale permesso è accordato, viene stilato un contratto in base al quale i fornitori di risorse possono partecipare in misura giusta ed equa ai benefici derivanti dall’utilizzo delle loro risorse;  
  • i benefici possono essere utili commerciali o conoscenze scientifiche.

Questa procedura è chiamata «Access and Benefit Sharing» (ABS). Nel frattempo, praticamente tutti gli Stati del mondo hanno ratificato la Convenzione, ad eccezione della Corea del Nord, del Vaticano e degli USA.

Per le piante coltivate: il Trattato FAO sulle risorse fitogenetiche
In merito alla ripartizione dei vantaggi, per le piante per l’alimentazione e l’agricoltura non ha senso né applicare il principio del Paese d’origine né ricorrere a trattati bilaterali. Prendiamo ad esempio una patata originaria del Perù che per 300 anni è stata perfezionata in Svizzera e successivamente incrociata con varietà di altri Paesi: come si fa a decretarne il Paese d’origine? Sin dall’adozione della Convenzione sulla diversità biologica è stato così stabilito che l’accesso alle risorse e la ripartizione dei vantaggi derivanti dalle piante coltivate dovessero essere disciplinati in seno alla FAO (acronimo inglese per Food and Agriculture Organization of the United Nations, ossia Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). È stato così elaborato il Trattato FAO sulle risorse fitogenetiche.

Attuazione mancata – nasce il Protocollo di Nagoya
L’attuazione dell’aspetto della giustizia ed equità previsto dalla Convenzione sulla diversità biologica è stata a lungo zoppicante. Per questa ragione, nel 2004 sono state avviate le trattative per un protocollo più dettagliato, che si sono concluse nel 2010 durante la conferenza tra le parti tenutasi a Nagoya. Nel Protocollo lì adottato sono disciplinati nel dettaglio:

  • i diritti e gli obblighi dei Paesi d’origine;
  • come devono agire i Paesi utilizzatori per eradicare la biopirateria (appropriazione illecita di risorse genetiche);
  • i diritti delle comunità indigene alle loro conoscenze tradizionali sulle risorse genetiche.

Il 14 luglio 2014 il Protocollo di Nagoya è stato ratificato da 50 Stati e dall’UE, e 90 giorni più tardi, il 12 ottobre 2014, è entrato in vigore. Gli Stati membri sono oggi 114. I grandi assenti sono il Brasile, la Russia e gli USA.

Il Protocollo di Nagoya e la Svizzera
Anche la Svizzera ha ratificato il Protocollo nel 2014 e nello stesso anno ha adeguato la Legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio (LPN) in modo da poter attuarlo. Di rilevanza centrale è il capoverso 1 del nuovo articolo 23n:
Chi, conformemente al Protocollo di Nagoya, utilizza risorse genetiche o trae direttamente benefici dalla loro utilizzazione (utente) deve usare la diligenza richiesta dalle circostanze per garantire che:
a. l’accesso alle risorse genetiche sia avvenuto legalmente; e
b. siano state stabilite di comune accordo condizioni per la giusta ed equa condivisione di questi benefici.


L’Ordinanza di Nagoya è entrata in vigore il 1° febbraio 2016. Gli attori svizzeri stanno ora implementando i nuovi requisiti per l’utilizzo delle risorse genetiche, operazione che richiede ancora molta opera d’informazione. L’obiettivo è che in futuro in Svizzera l’utilizzo delle risorse genetiche avvenga in conformità alle regole del Protocollo di Nagoya.

Che rilevanza hanno per ProSpecieRara la Convenzione sulla diversità biologica e il Protocollo di Nagoya?
La maggior parte dei generi di piante importanti per ProSpecieRara soggiace al Trattato FAO, ma non tutti. Per questa ragione le piante ornamentali, ad esempio, ricadono sotto il Protocollo di Nagoya, e pure gli animali da reddito. Dato che in Svizzera l’accesso è tuttavia libero e difficilmente ProSpecieRara chiede a Paesi esotici accesso alle loro risorse genetiche, gli effetti sul nostro lavoro quotidiano sono finora limitati. Ci capita però di continuo di firmare contratti basati sui principi del Protocollo di Nagoya, ad esempio se chiediamo l’accesso a piante ornamentali custodite in un’altra banca genetica. E pure ProSpecieRara sottostà per l’accettazione e la trasmissione di sementi e altro materiale di propagazione all’obbligo di diligenza previsto dalla legge svizzera.